1)
Something From Nothing
2)
The Feast And The Famine
3)
Congregation
4)
What Did I Do? / God As My Witness
5)
Outside
6)
In The Clear
7)
Subterranean
8)
I Am A River
Hanno suonato nelle location più grandi e suggestive del
pianeta. Hanno inciso canzoni che verranno ricordate nel corso degli anni come classici.
Due dei loro album hanno vinto il Grammy
Award per il miglior album rock, uno di questi album è stato realizzato nel
garage del frontman Dave Grohl e registrato su nastro nel 2011, rinunciando alle
moderne tecnologie che permettono correzioni tecniche e molto altro. I Foo
Fighters hanno sperimentato molte esperienze nella loro carriera,
cercando sempre nuovi modi di mettersi in gioco, di superarsi, approcci diversi
per rinnovare nei loro cuori l'ebbrezza della prima volta. Le novità e i rischi
non li spaventano, e perciò anche questa volta si sono cimentati in qualcosa
che per loro rappresentava un'ulteriore staccionata da superare, così da
raggiungere un appagamento personale e poter dire:"Abbiamo superato anche
questa".
Con Sonic Highways l'obiettivo ambizioso
questa volta era di registrare otto canzoni in otto studi di registrazione statunitensi
diversi, ovviamente situati in otto città diverse. Otto, perché questo è
l'ottavo album del gruppo. Per aggiungere un ulteriore gusto di sfida, il testo
di ogni canzone doveva essere finito di scrivere e registrato durante l'ultimo
giorno all'interno dello studio per poi passare a quello successivo, in modo
che Dave Grohl potesse carpire fino
in fondo tutte le emozioni e le impressioni ricevute da ogni città. In più,
ogni canzone vede la collaborazione di uno o più musicisti risiedenti nella
città in cui si svolgevano le registrazioni. Un progetto imponente. Inutile
dire che la pressione delle scadenze in questi casi diventa pesantissima e si
rischia di non riuscire a lavorare con serenità e precisione. Ma i Foo Fighters
ormai hanno esperienza da vendere e superano anche questa sfida, realizzando un
buon disco dal sapore fresco nonostante tenda a delle sonorità per certi versi
classiche.
La doppietta iniziale composta da Something From Nothing e The
Feast And The Famine farà terra bruciata ai loro concerti. La prima è
un lento climax che esplode in una raffica di colpi in cui Dave Grohl conferma tutte le sue grandi doti vocali cantando con
tre stili diversi. Altro pregio al quale ormai i nostri cinque ci hanno abituato
è il sapiente utilizzo delle tre chitarre impugnate da Grohl stesso, Pat Smear e
Chris Shiflett che si intrecciano tra
arpeggi, riff e assoli creando un muro sonoro imponente. La seconda è la
classica canzone tiratissima in pieno stile Foo,
sfrenata come un auto da corsa spinta dalla batteria di Taylor Hawkins. Si potrebbe pensare che a causa della snervante
situazione in cui si è ritrovato a lavorare, il gruppo abbia deciso di puntare
sul sicuro realizzando un disco con pezzi congegnali al loro stile. In realtà
queste due sono le uniche canzoni che richiamano ai loro vecchi lavori. Nelle
restanti sei c'è un'alta concentrazione di varietà e tanta voglia di cimentarsi
su terreni poco visitati in passato. Il miglior risultato di questa
sperimentazione lo incarna Outside, un pezzo che verso la metà
raggiunge addirittura qualche sfumatura psichedelica e che si erge grazie
all'ennesimo splendido sfoggio di talento chitarristico e compositivo. La
voglia di libertà e di lasciarsi tutto alle spalle entra dentro e cresce fino a
spronarci a uscire dal nostro mondo. Nota di merito per il basso di Nate Mendel che per tutta la durata del
brano tiene alta l'atmosfera incalzante. Da non perdere assolutamente.
Piuttosto
trascurabile invece In The Clear, piatta e ripetitiva senza mai raggiungere un
momento davvero memorabile. Inserire una traccia così banale in un disco
composto solo da otto tracce è un grave errore, comprensibile viste le
condizioni nelle quali il gruppo ha lavorato ma poco giustificabile. Congregation
è un altro brano energico che conferma la particolare attenzione posta dal
gruppo sulla costruzione delle tracce. Uno di quei pezzi da mettere su mentre
si è in macchina con gli amici e i finestrini spalancati. What Did I Do? / God As My
Witness è probabilmente il brano che più si discosta dal classico stile
dei Foo Fighters, con molti stacchi di ritmo e sonorità di fine anni 80, quelle
dei Bon Jovi per intenderci. Un buon pezzo
ma in alcuni punti (soprattutto la parte finale) risulta un po' fiacco e privo di spessore. Le due tracce che chiudono il disco sono tra le più lunghe che il
gruppo abbia mai scritto: Subterranean e I Am A River. I ritmi
sfrenati vengono messi da parte per lasciare spazio a due brani dalle atmosfere
dolci, segno di una grande versatilità del gruppo. La seconda in particolare è
una ballad ricca di emozione, con un intro da pelle d'oca e nonostante i suoi 7
minuti non riscontra momenti di calo, complice una performance di alto
livello da parte di tutti i cinque componenti.
I Foo Fighters non riescono a raggiungere il risultato
sensazionale del loro precedente capolavoro Wasting
Light e mostrano qualche sbavatura in vari momenti dell'album. Ciononostante
ci consegnano un lavoro più che soddisfacente, ben strutturato che mostra molto
chiaramente tutto il grande lavoro che c'è stato dietro. Un disco che suona
proprio come un omaggio alle otto città in cui è stato realizzato, con stili
diversi e un'energia positiva costante. Da elogiare in modo particolare lo
spirito con il quale questo gruppo si è approcciato alla sua creazione, uno
spirito che continua a tenerli sulla cresta dell'onda come uno dei gruppi rock
più grandi degli ultimi anni. Se pensavate che fosse un gruppo in declino
dovrete ricredervi almeno un po'. Hanno superato anche questa, non al cento per
cento ma l'hanno superata.
VOTO: 7,5
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